IL TRIBUNALE Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 c.p.p., per violazione degli artt. 3, 97 e 111 della Costituzione, sollevata dal p.m.; sentito il difensore: O s s e r v a Fattispecie concreta. All'udienza del 6 marzo 2001 la difesa chiedeva la definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato subordinato alla produzione documentale (sentenza di assoluzione in favore dell'imputato passata in giudicato il 31 ottobre 2000, sentenza di assoluzione del g.i.p. del tribunale di Velletri, memoria difensiva) nonche' alla audizione del consulente medico legale; il pubblico ministero sollevava questione di legittimita' costituzionale per violazione del principio del contraddittorio e della parita' delle parti, sia relativamente alla impossibilita' di interloquire in merito alle richieste, sia relativamente alla impossibilita' di effettuare ulteriori indagini eventualmente necessarie all'esito della attivita' introdotta dalla difesa. Quadro normativo. E' quello del quinto comma dell'art. 438, quinto comma, c.p.p. che testualmente recita: "L'imputato, ferma restando la utilizzabilita' ai fini della prova degli atti indicati nell'art. 442, comma 1-bis, puo' subordinare la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. Il giudice dispone il giudizio abbreviato se l'integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione compatibile con le finalita' di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti gia' acquisiti ed utilizzabili. In tal caso il pubblico ministero puo' chiedere l'ammissione di prova contraria. Resta salva l'applicabilita' dell'art. 423". Nell'ambito di tale norma dunque si registra: a) la esclusione l'esigenza del consenso del pubblico ministero; b) la scomparsa del rigore della caratteristica del giudizio abbreviato come "giudizio allo stato degli atti" perche' l'imputato puo' disporre una contenuta integrazione probatoria. In altri termini il giudizio abbreviato ha perso le sue caratteristiche di giudizio a prova contratta per acquisire, nel caso di richiesta condizionata ammessa (ma anche di richiesta pura, se il giudice esercita i poteri officiosi), la fisionomia di un dibattimento minimo, nell'ambito del quale e' possibile l'esercizio del diritto alla prova da parte dell'imputato ed alla controprova da parte del pubblico ministero. Indubbiamente l'ambito dei poteri del pubblico ministero risulta notevolmente ridotto a causa dell'eliminazione del suo consenso per l'accesso al rito, con le seguenti conseguenze "non volute": a) diritto solo alla controprova (se vi e' integrazione probatoria a seguito di richiesta condizionata) ovvero facolta' di sollecitazione per l'esercizio dei poteri officiosi del giudice; b) limitazione all'impugnazione del pubblico ministero per le sentenze di condanna, tranne che vi sia stata la modifica del titolo di reato; c) limitazione dei poteri di contestazione del pubblico ministero, titolare esclusivo dell'azione penale, ai soli casi in cui la diversita' o la novita' del fatto emerga dalle integrazioni probatorie. Quindi il pubblico ministero non potra' procedere a contestazioni suppletive se il quadro probatorio resta immutato, tale e quale era al momento della ammissione del rito. Non convincendo l'argomento di considerare tale riduzione nell'ambito di un equilibrio generale del processo in relazione anche ai c.d. "contrappesi interni" al rito tanto da ritenere che l'eccesso di potere attribuito all'imputato in tale segmento processuale possa costituire in realta' fattore di riequilibrio in termini sistematici, in tale quadro normativo il giudicante rileva numerosi profili di incostituzionalita'. Il contrasto con l'art. 111 della Costituzione. Prevede il medesimo art. 111 della Costituzione che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge, e che ogni processo si svolge in contraddittorio tra le parti, in condizione di parita', davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Tale disposizione, a parere del tribunale, non puo' che riuardare qualsiasi fase processuale, in quanto le norme contenute nei successivi commi 4 e 5 regolano, piu' specificamente, l'applicazione del principio del contraddittorio alle sole fasi in cui viene assunta la prova. Tale distinzione, evidente alla mera lettura della norma, implica che i principi del rispetto del contraddittorio e della parita' delle parti nel processo operano sin dall'inizio del processo medesimo e che, quindi, non vi e' alcuna fase svincolata dalla loro applicazione concreta. E' quindi consequenziale ritenere che non puo' verificarsi nel processo penale alcuna situazione giuridica che consenta il suo regolare svolgimento senza che a ciascuna delle parti sia riconosciuto il diritto ad interloquire. Tale diritto non puo' ovviamente essere inteso come mera facolta' formale ad esprimersi, ma deve manifestarsi in modo tale che ad esso possa conseguire efficacia giuridica. In caso contrario il diritto a contraddire e il principio della parita' delle parti resterebbero vuoti di contenuti giuridici concreti, con la conseguenza che la norma dell'art. 111 resterebbe del tutto disattesa e quindi priva di efficacia precettiva. Nel caso in questione, non appare conforme alla Costituzione non solo privare il pubblico ministero del diritto a contraddire le richieste dell'imputato in tema di giudizio abbreviato. L'impianto normativo in vigore evidenzia quindi chiari dubbi di legittimita' costituzionale, perche' impedisce sia il pieno dispiegarsi del contraddittorio anche nella attuale fase processuale, sia il rispetto del principio della parita' delle parti, con ovvia e conseguente rilevanza nel processo in corso. Il contrasto con l'art. 97 della Costituzione. I presupposti logico-giuridici del rito abbreviato si rinvengono, come emerge chiaramente anche nei lavori preparatori del codice di procedura vigente, nella abbreviazione dei tempi processuali in conseguenza del mancato svolgimento della istruttoria dibattimentale, o dell'intera fase dibattimentale: e' proprio alfine di realizzare tale esigenza che il legislatore ha riconosciuto uno sconto di pena al soggetto richiedente. Secondo la normativa attuale, invece, tale rito rimane del tutto svincolato dai presupposti sopra indicati, in quanto, qualora il giudice ritenga necessario procedere ad una qualche integrazione probatoria, ha comunque l'obbligo di applicare la diminuente del rito, malgrado risultino evidentemente disattese le ragioni di speditezza ed economia alla base dell'istituto. Sulla scorta di tali ultime osservazioni, deve ritenersi che la attuale normativa sul giudizio abbreviato viola anche il principio enunciato dall'art. 97 della Costituzione, della imparzialita' e del buon andamento della pubblica amministrazione (nella quale deve ovviamente ricomprendersi anche quella giudiziaria), poiche' comporta la attribuzione agli imputati di vantaggio significativi, ma ingiustificati, in quanto non sempre conseguenti alla realizzazione dei fini ai quali dovrebbero essere preordinati. Un ulteriore argomento inteso a rafforzare le tesi sin qui esposte si rinviene nell'insegnamento della stessa Corte costituzionale, contenuto nella ordinanza 26 febbraio 1998 n. 33, secondo cui la possibilita' di adottare il rito abbreviato sulla base delle sole richieste dell'imputato in funzione dei suoi legittimi interessi di difesa, violerebbe i principi fondamentali che regolano il processo penale, intesi essenzialmente alla realizzazione dei superiori interessi della giustizia.